Pasotti tacque e il prete non tardò molto a metter fuori anche lui una punta di timida malizia:
Bochen propi minga, incoeu, non boccano; gh'è come vent in aria
.
Intanto, in casa, il dialogo fra la Maria e la signora Barborin, dopo il primo affettuoso scambio di saluti riuscito benissimo, procedeva malissimo. La Maria propose, a gesti, di scendere in giardino, ma la Pasotti implorò a mani giunte d'esser lasciata sulla sua seggiola. Allora la grossa Maria prese un'altra seggiola, le si pose accanto, cercò rivolgerle qualche parola, e non arrivando, per quanto vociasse, a farsi intendere, vi rinunciò, si prese il suo gattone in grembo e parlò a quello.
La povera signora Barborin, rassegnata, guardava il gatto con i suoi grandi occhioni neri, velati di vecchiaia e tristezza. Ecco finalmente Pasotti, ecco don Giuseppe che ricomincia a sbuffare:
Ah Signor! Cara la mia sciora Barborin! Che la scüsa tant!
Avendo la Maria confessato al "scior Controlòr" che sua moglie e lei non erano riuscite a capirsi, il padrone le diede, per ossequio alla Pasotti, del "salamm" e poiché ella voleva pur difendersi, la fece prudentemente chetare con un imperioso agitar di mano e un "ta ta ta ta!". Poi le accennò misteriosamente del capo ed ella uscì. Pasotti le tenne dietro e le disse che sua moglie, dovendo recarsi a visitare i Rigey e non sapendo, per le voci che correvano, come regolarsi, desiderava qualche informazione dalla Maria, perché "la Maria sa sempre tutto".
Quante chiacchiere!
, fece la Maria, lusingata.
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