E con quell'appellativo di "bargnìf" che designa il diavolo considerato nella sua astuzia, le due mansuete creature si sfogarono, si ripagarono di tanta roba data malvolentieri, cerimonie, sorrisi e ciliege.
Il professor Gilardoni stava leggendo sul suo belvedere dell'orto, quando vide Pasotti che veniva dietro il Pinella, fra le rape e le barbabietole. Non sentiva simpatia per il Controllore col quale aveva scambiato un paio di visite in tutto e che aveva fama di "tedescone". Però, essendo inclinato a pensar bene di tutti coloro che conosceva poco, non gli pesava usare anche con lui la cortesia cordiale ch'era solito usar con tutti. Gli andò incontro col suo berretto di velluto in mano, e dopo una scaramuccia di complimenti in cui Pasotti ebbe facilmente la meglio, ritornò insieme a costui sul belvedere.
Pasotti, dal canto suo, sentiva per il professore Gilardoni un'antipatia profonda, non tanto perché lo sapesse liberale, quanto perché il Gilardoni, quantunque non andasse a messa come lui, viveva da puritano, non amava la tavola né la bottiglia né il tabacco né certi discorsi liberi, e non giuocava a tarocchi. Discorrendo una sera nell'orto con don Franco delle solenni scorpacciate e trincate che Pasotti e gli amici suoi facevano spesso alle cantine di Bisgnago, il professore aveva detta una parola severa ed era stato udito dal curatone, uno dei mangiatori, che passava in barca rasente i muri, piano piano, pescando. "Villanaccio!", aveva esclamato, all'udirselo riferire, il Controllore gentilissimo con una faccia da "bargnìf" bilioso; aveva poi fatto tener dietro alla parola un ringhio spregiativo e uno sputo.
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