Il Gilardoni ne fu tocco, offerse al suo visitatore un bicchier di birra e si affrettò a scendere in cerca di Pinella onde aver un pretesto di lasciar il volume sul tavolino.
Appena partito il professore, Pasotti ghermì il libro, gli diede una curiosa occhiata, lo rimise a posto e si piantò in capo alla scala con la tabacchiera aperta in mano, frugando nel tabacco e sorridendo, tra l'ammirazione e la beatitudine, ai monti, al lago, al cielo. Il libro era un Giusti, stampato colla falsa data di Bruxelles, anzi di Brusselle e con il titolo Poesie italiane tratte da una stampa a penna. In un angolo del frontespizio si leggeva scritto per isghembo: "Mariano Fornic". Non occorreva l'acume di Pasotti per indovinar subito in quel nome eteroclito l'anagramma di Franco Maironi.
Che bellezza! Che paradiso!
, diss'egli a mezza voce mentre il professore saliva la scala seguito dal Pinella con la birra.
Confessò poi, tra un sorso e l'altro, che la sua visita era un pochino interessata. Si disse innamorato della muraglia fiorita che sosteneva l'orto Gilardoni a fronte del lago, e desideroso di imitarla ad Albogasio Superiore dove, se il lago mancava, i muri nudi eran troppi. Come s'era procurato il professore quelle agavi, quei capperi, quelle rose?
Ma!
, rispose candidamente il professore. "Me li ha donati Maironi."
Don Franco?
, esclamò Pasotti. "Benissimo. Allora, siccome don Franco ha molta bontà per me, mi rivolgerò a lui."
E trasse la tabacchiera. "Povero don Franco!", diss'egli, guardando il tabacco e palpandolo con la tenerezza di un bargnìf commosso.
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