Quando l'ebbe capita non poté fare a meno di dire: "Già, l'è un po' grossa". Ma poi, veduto Franco tanto fuori di sé, esclamò col vocione solenne che usava per giudicar toto corde le cose umane: "Senti. L'è, dirò così", (e cercava la parola in un suo particolar modo, gonfiando le gote e mettendo una specie di rantolo), "... una iniquità; ma tutte queste meraviglie che fai tu, io non le faccio per niente affatto. Tutti i torti, caro, non sono dalla parte sua; e allora? Del resto, me ne rincresce per voialtri che mangerete di magro e dovrete vivere in questo miserabile paese; ma per me? Per me ci guadagno e son pronto dirò così a ringraziare tua nonna. Vedi bene, io non ho fatto famiglia, ho sempre contato su questa. Adesso la mia povera sorella è morta; se la nonna vi apriva le braccia io restavo come un torso di cavolo. Dunque!".
Franco si guardò dal raccontar la cosa a sua moglie, ed ella, benché sapesse delle lettere spedite a Cressogno, non domandò che dopo il funerale, parecchie ore dopo, se la nonna avesse risposto. Il piccolo salotto, la piccola terrazza, la piccola cucina erano stati pieni di gente tutto il giorno, dalle nove della mattina alle nove della sera. Alle dieci Luisa e Franco uscirono di casa senza lanterna, presero a destra, attraversarono pian piano, silenziosamente, le tenebre del villaggio, toccarono la svolta chiara e ventosa cui sale il fragor profondo del fiume di S. Mamette, entrarono nelle ombre, nel forte odore dei noci di Looch. Poco prima di giungere al cimitero, Luisa domandò sottovoce a suo marito: "Sai niente di Cressogno?
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