Il bestione fedele non capì subito che c'era un secondo fine, ringraziò con un miscuglio di frasi ossequiose e di risatine stupide, fregandosi le mani, offerse caffè, latte, uova, l'aria aperta del giardinetto. Colui accettò il caffè e rifiutò l'aria aperta con un cenno del capo e una strizzatina d'occhi così eloquente che il Carlascia, vociato su per le scale "Peppina! Caffè!" fece passare il Commissario in ufficio, dove, sentendosi trasmutare, secondo la sua doppia natura, da Ricevitore di dogana in agente di polizia, si fece devoto il cuore e austero il viso come per una unione sacramentale col monarca. Questo ufficio era un ignobile bugigattolo a pian terreno, con le inferriate ai due finestrini, una infetta cellula primitiva che aveva già il puzzo della grande monarchia. Il Commissario vi si piantò a sedere in mezzo, guardando l'uscio chiuso che dall'approdo metteva nell'anticamera; quello che dall'anticamera metteva nell'ufficio era rimasto aperto, per ordine suo.
Mi parli del signor Maironi
, diss'egli.
Sorvegliato sempre
, rispose il Biancòn. "Anssi", soggiunse nel suo italiano di Porta Tosa, "aspetti: ci ho qui un rapporto quasi finito." E si diede a frugare, a palpar fra le sue carte in cerca del rapporto e degli occhiali.
Manderà, manderà
, fece il Commissario che non si aspettava molto dalla prosa del bestione. "Intanto parli, dica!"
Malintensionato sempre, questo si sapeva
, ricominciò l'eloquente Ricevitore, "e adesso anche si vede. Si è messo a portare quella barba, sa, quella mosca, quella moschetta, quel pisso, quella porcheria.
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Carlascia Commissario Ricevitore Commissario Maironi Biancòn Porta Tosa Commissario Ricevitore
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