Malgrado questa occulta mansuetudine, posando la bacchetta e pensando che si trattava di pescare quel povero vecchio ingegnere Ribera, egli provò una singolare compiacenza non nel cuore, non nel cervello né in alcuno dei soliti sensi, ma in un suo particolare senso, puramente I. e R. Davvero, egli non aveva coscienza di sé come di un organismo distinto dall'organismo governativo austriaco. Ricevitore di una piccola dogana di frontiera, si considerava una punta d'unghia in capo a un dito dello Stato; come agente di polizia poi, si considerava un occhiolino microscopico sotto l'unghia. La vita sua era quella della monarchia. Se i Russi le facevano il solletico sulla pelle della Galizia, egli ne sentiva il prurito a Oria. La grandezza, la potenza, la gloria dell'Austria gli ispiravano un orgoglio smisurato. Non ammetteva che il Brasile fosse più esteso dell'Impero Austriaco, né che la Cina fosse più popolata, né che l'Arcangelo Michele potesse prendere Peschiera, né che Domeneddio potesse prendere Verona. Il suo vero Iddio era l'Imperatore; rispettava quello del cielo come un alleato di quello di Vienna.
Non gli era, dunque, mai entrato il sospetto che l'ingegnere in capo fosse un cattivo suddito. Le parole del Commissario, un vangelo per lui, ne lo persuasero addirittura; e l'idea di trovarsi a portata questo malfido servitore accendeva il suo zelo d'occhio regio e d'unghia imperiale. Si diede dell'asino per non averlo conosciuto prima. Oh ma era ancora in tempo di pescarlo bene: bene bene bene bene!
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