Lasci fare a me! Lasci fare a me, signor...
Troncò la frase e afferrò la bacchetta. Il sughero aveva impresso nell'acqua un anello, dolcemente, muovendosi appena; indizio di tinca. Il Biancòn strinse forte la bacchetta tenendo il fiato. Altro tocco al sughero, altro anello più grosso; il sughero va pian piano sull'acqua, si ferma, il cuore del Biancòn batte a furia; il sughero cammina ancora per un piccol tratto, a fior d'acqua e sprofonda; zac! il Biancòn dà un colpo, la bacchetta si torce in arco tanto il filo è tirato da un peso occulto. "Peppina, el gh'è!", grida il Carlascia perdendo la testa, confondendo il sesso della tinca con quello dell'ingegnere in capo: "El guadèll, el guadèll". Il sedentario si volta invidioso: "Ghe l'ha, scior Recitòr?". Il Cüstant si cuoce dentro e non fa motto né volge la sua tuba. Ratì accorre e accorre anche la signora Peppina portando il "guadèll", una pertica lunga con una gran borsa di rete in capo, per imborsarvi la tinca nell'acqua, ché il tirarla su di peso col filo sarebbe un rischio disperato. Il Biancòn piglia il filo, lo raccoglie pian piano a sé. La tinca non si vede ancora ma deve esser grossa; il filo viene in su per un paio di braccia, poi è tirato furiosamente in giù; quindi torna a venire, viene, viene, e in fondo all'acqua, sotto il naso dei tre personaggi, balena un giallore, un'ombra mostruosa. "Oh la bella!", fa la signora Peppina sottovoce. Ratì esclama: "Madòne, madòne!", e il Biancòn non dice parola, tira e tira con cautela.
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