Dai cassettoni rococò delle camere da letto alla madia della cucina, dal nero pendolo del salottino da pranzo al canapè della loggia con la sua stoffa color marrone cosparsa di cavalieri turchi gialli e rossi, dalle seggiole impagliate a certi seggioloni dai bracciuoli spropositatamente alti, i mobili della casa appartenevano all'epoca degli uomini illustri, la maggior parte dei quali portava parrucca e codino. Se parevano discesi dal granaio, parevan pure aver ripreso nell'aria e nella luce della nuova dimora certe perdute abitudini di pulizia, un notevole interesse alla vita, una dignità di onesta vecchiaia. Così un'accozzaglia di vocaboli disusati potrebbe oggi comporsi, nel soffio d'un attempato poeta conservatore, e rifletterne la serena ed elegante senilità. Sotto il regime matematico e burocratico dello zio Piero, seggiole e seggioloni, tavole e tavolini avevano vissuto in perfetta simmetria e il privilegio della inamovibilità era stato accordato persino agli stoini. Il nome di "mobile" non lo aveva meritato che un cuscino grigio e celeste, un aborto di materasso, che l'ingegnere durante i suoi brevi soggiorni a Oria si portava con sé quando mutava seggiolone. Assente lui, il custode rispettava tanto le suppellettili da non osar di toccarne confidenzialmente, di spolverarne le parti meno visibili. Ciò faceva andar sulle furie la governante, regolarmente, ad ogni ritorno in Valsolda. Il padrone, irritato che per un po' di polvere si gridasse tanto contro un povero diavolo di contadino, se la pigliava con lei e le suggeriva di spolverare ella stessa; e quando la donna scattò a domandargli, in via di sdegnosa replica, se dovesse ammazzarsi a spolverare tutta la casa ogni volta che veniva, le rispose bonariamente: "Mazzèv ona volta sola ch'el sarà assée".
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Piero Oria Valsolda
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