Adesso, mentre l'ombra violacea invadeva il verde delle onde e correva lungo la costa, di paesello in paesello, spegnendo, una dopo l'altra, le bianche case lucenti, egli era appunto seduto sul suo trono e si teneva sulle ginocchia la piccola Maria, mentre Franco, sulla terrazza, annaffiava i vasi di pelargoni, pieno il cuore e il viso di contentezza affettuosa come se versasse da bere a Ismaele nel deserto, e Luisa stava sgrovigliando pazientemente una pesca di suo marito, un garbuglio pauroso di spago, di piombi, di seta e di ami. Ella discorreva in pari tempo col professore Gilardoni che aveva sempre qualche garbuglio filosofico da sgrovigliare e ci si metteva molto piů volentieri con lei che con Franco, il quale lo contraddiceva sempre, a torto e a ragione, avendolo in concetto d'un ottimo cuore e d'una testa confusa. Lo zio, tenendo il ginocchio destro sul sinistro e la bambina sul mucchio, le ripeteva per la centesima volta, con affettata lentezza, e storpiando un poco il nome esotico, la canzonetta:
Ombretta sdegnosaDel Missipipě.
Fino alla quarta parola la bambina lo ascoltava immobile, seria, con gli occhi fissi; ma quando veniva fuori il "Missipipě" scoppiava in un riso, sbatteva forte le gambucce e piantava le manine sulla bocca dello zio, il quale rideva anche lui di cuore e dopo un breve riposo ricominciava adagio adagio, nel tono solito:
Ombretta sdegnosa...
La bambina non somigliava né al padre né alla madre, aveva gli occhi, i lineamenti fini della nonna Teresa. Al vecchio zio, che pure vedeva di rado, mostrava una tenerezza strana, impetuosa.
| |
Maria Franco Ismaele Luisa Gilardoni Franco Missipipě Teresa
|