. Aveva seguita la ragazza in casa sua presso la Madonna del Romėt e ammansato l'uomo che cercava sua moglie con un coltello in mano, per causa non tanto d'una cattiva minestra quanto d'una cattiva risposta. Luisa rappresentō a suo marito e a don Giuseppe l'ultimo atto del dramma, il suo dialogo con la moglie ch'era corsa a nascondersi nella stalla.
Oh Regina, dovč sii?" "Sont chė." "Dovč, chė?" "Chė." La voce tremante veniva di sotto la vacca. La donna era proprio lė, accoccolata. "Vegnė foeura, donca!" "Sciora no." "Perché?" "Goo pagüra." "Vegnė foeura ch'el voss marė el vaeur fav on basin." "Mi no." Allora Luisa aveva chiamato dentro l'uomo. "E vü andee a fagh on basin sott a la vacca." E l'uomo aveva dato il bacio mentre la donna, temendo un morso, gemeva: "Cāgnem poeu minga, neh!".
Che diāvol d'ona sciora Luisa
, fece don Giuseppe. E soddisfatto della scorpacciata di primiera, palpandosi dolcemente sui fianchi e sul ventre le modeste rotonditā, il piccolo personaggio del mondo antico pensō al secondo scopo della sua visita. Voleva dire una parolina alla signora Luisa. L'ingegnere era uscito a far i suoi soliti quattro passi fino alla piccola salita del Tavorell ch'egli chiamava scherzosamente il San Bernardo; e Franco, data un'occhiata alla luna che sfavillava allora fuor dal ciglio nero del Bisgnago e gių nell'ondular dell'acqua, si pose a improvvisar sul piano effusioni di dolore ideale, che andavan via per le finestre aperte sulla sonoritā profonda del lago. La improvvisazione musicale gli riusciva meglio delle elaborate poesie perché il suo impetuoso sentire trovava nella musica una espressione pių facile e piena, e gli scrupoli, le incertezze, le sfiducie che gli rendevano faticosissimo e lento il lavoro della parola, non tormentavano, al piano, la sua fantasia.
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