Ma il disegno gli fallì perché sua moglie non poté stare alle mosse e corse al "Palazz" a giustificarsi.
Ella trovò don Giuseppe e la Maria in uno stato di agitazione straordinaria. Era capitato loro qualche cosa di grosso che la Maria avrebbe voluto dire e don Giuseppe no. Cedette il padrone a patto che la Maria non gridasse, che si facesse intendere a segni. Trovando contrasto anche su questa condizione, diventò addirittura, nella sua prudenza, furibondo e la serva non insistette.
Siccome era corsa voce d'un caso di colèra a Lugano nella persona d'un tale venuto da Milano, dove il male c'era, don Giuseppe aveva subito disposto che le provviste per cucina si facessero a Porlezza invece che a Lugano; e ne aveva incaricato il Giacomo Panighèt, il postino che portava le lettere in Valsolda non tre volte il giorno, come ora si portano, ma due volte la settimana, com'era la beata consuetudine del piccolo mondo antico. Ora, cinque minuti prima che venisse la signora Pasotti, il Giacomo Panighèt aveva portato il solito canestro e nel canestro s'era trovata, sotto i cavoli, una letterina diretta a don Giuseppe. Diceva così:
Lei che giuoca a primiera con don Franco Maironi, lo avverta che l'aria di Lugano è molto migliore di quella di Oria.
Tivano
La Maria mostrò silenziosamente alla Pasotti il canestro ancora pieno, le rappresentò con una mimica efficace la scoperta della lettera, gliela diede a leggere.
Appena la sorda ebbe letto incominciò una bizzarra, indescrivibile azione muta di tutti e tre.
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