Non si sa, non si sa, non si sa", sussurrò il Commissario, e toltosi di là, andò, seguito da Franco, dove il Ricevitore e l'ingegnere discorrevano di tinche presso la scaletta che scende al secondo ripiano del giardinetto.
Lì presso c'era il famoso vaso rosso di gelsomini.
Questo rosso sta male, signor Maironi
, disse il bestione ex abrupto, e diede un colpo all'aria con la mano come per dire "via!". In quel momento Luisa si affacciò al giardino dalla sala e chiamò suo marito. Il Commissario si voltò al suo zelante accolito e gli disse bruscamente: "Lasci stare!"
La Pasotti partiva e voleva salutare Franco. Questi desiderava farla uscire per il giardino ma ella, volendo evitare le cerimonie con quegli altri signori, preferì di scender per la scala interna e Franco l'accompagnò fino alla porta di strada, ch'era aperta. Con suo grande stupore, la Pasotti, invece di uscire, chiuse la porta e si mise a fargli una mimica concitata, affatto inintelligibile, accompagnandola di sospiri tronchi e di stralunamenti d'occhi: dopo di che si levò di tasca una lettera e gliela porse.
Franco lesse, si strinse nelle spalle e intascò la carta. Poi, siccome la Pasotti consigliava, con la sua mimica disperata, fuga fuga, Lugano Lugano, la rassicurò con un gesto sorridendo. Colei gli afferrò ancora una volta le mani, scosse ancora con un fremito di supplica, il cappellone inclinato a destra e i due lunghi riccioli neri. Poi spalancò gli occhi, porse le labbra in fuori quanto poté, si calcò l'indice sul naso nel segno del silenzio.
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