A questa uscita stravagante la signora Peppina ebbe un sussulto di spavento, fece
Esüsmaria!" e poi capì di essersi tradita, di non aver mostrato per il suo Carlascia quella tenerezza di cui parlava sempre, afferrò il ginocchio della sua vicina e si piegò a dirle sottovoce, rossa come un papavero: "Citto, citto, citto!"
Ma Luisa non badava più a lei; un'occhiata di Franco le aveva detto ch'era successo qualche cosa.
Partita tutta quella gente, lo zio Piero si mise a leggere la Gazzetta di Milano e Luisa disse a suo marito: "Sono le tre, andiamo a svegliar Maria".
Quando fu con lui nella camera dell'alcova, invece di aprir le imposte, gli domandò cosa fosse accaduto. Franco le raccontò tutto, dal biglietto della Pasotti allo strano contegno, alla strana confidenza del Commissario.
Luisa lo ascoltò molto seria ma senza dar segno di timore. Esaminò il biglietto misterioso. Ella e Franco sapevano che fra gli agenti governativi di Porlezza v'era un galantuomo il quale nel 1849 e nel 1850 aveva salvato parecchi patrioti avvertendoli segretamente; ma sapevano pure che quel galantuomo là non conosceva l'ortografia né la grammatica. Il biglietto portato dalla Pasotti era correttissimo. Quanto al Commissario, si sapeva che era uno dei più tristi e maligni arnesi del Governo. Luisa approvò la risposta di suo marito. "Giurerei che ti vogliono far partire", diss'ella.
Franco lo pensava pure ma senza trovarne un ragionevole perché. Luisa ne aveva bene in mente uno, suggeritole dal suo disprezzo per la nonna.
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