Che egli osasse parlarle d'amore, ch'ella potesse sposar quella sapienza giallognola, rugosa e secca, neppure le veniva in mente; ma neanche avrebbe voluto spegnere un focherello così discreto che faceva onore a lei e, probabilmente, piacere a lui. S'ella ne rideva qualche volta con Luisa, non era però mai la prima a ridere e soggiungeva subito: "Povero signor Gilardoni! Povero professore!".
Ella entrò frettolosa, con la testolina bionda chiusa in un gran cappuccio nero, come una primavera travestitasi, per chiasso, da dicembre. Dicembre le veniva dietro, affagottato il collo in una gran sciarpa sulla quale si porgeva, lucente e rosso, il naso professorale irritato dalla neve. Era tardi, tutti si accomiatarono dallo zio ed egli rimase solo con il suo lume e il suo latte, davanti alle ultime brage moribonde del ginepro.
Gli restava sul viso una leggera ombra di disapprovazione. Franco faceva troppo il poeta! Adesso la vita era dura in casa Maironi. Si faceva colazione con una tazza di latte e cicoria adoperando certo zucchero rosso che puzzava di farmacia. Non si mangiava carne che la domenica e il giovedì. Una bottiglia di vin Grimelli veniva ogni giorno in tavola per lo zio, il quale non voleva saperne di privilegi. Ogni giorno, per questa bottiglia, sorgevano le stesse nubi, scoppiava la stessa piccola burrasca e si scioglieva secondo il volere dello zio, con una brevissima pioggerella di decotto in ciascuno dei cinque bicchieri. La serva era stata licenziata; restava la Veronica per le faccende grosse, per la polenta, e qualche volta per badare a Maria.
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Luisa Gilardoni Maironi Grimelli Veronica Maria
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