Lo zio stava ancora a letto. Si alzava tardi, non potendo riscaldare la stanza e non volendo, per economia, accendere il fuoco nel salottino troppo per tempo. Però il freddo non gl'impediva di tirarsi su a leggere, con mezzo il petto e ambedue le braccia fuori delle coperte.
Ciao
, diss'egli quando Franco entrò.
Dal tono del saluto, dalla bella faccia seria nella sua bontà, Franco intese che lo zio aveva pronte parole insolite.
Lo zio gl'indicò infatti la sedia presso il letto, e disse il più solenne dei suoi esordi:
Sètet giò
.
Franco sedette.
Dunque parti domani?
Sì, zio.
Bene.
Parve che nel metter fuori quel "bene" il cuore dello zio gli fosse venuto in bocca, tanto la parola gli gonfiò le guance, gli uscì piena e sonora.
Tu
, riprese il vecchio, "non mi hai udito fino ad ora, dirò così, approvare né disapprovare il tuo progetto. Forse avrò dubitato un poco che lo effettuassi. Adesso..."
Franco gli stese ambedue le mani. "Adesso", continuò lo zio, tenendogliele strette fra le proprie, "visto che sei fermo nella tua idea, ti dico: l'idea è buona, il bisogno c'è, va, lavora, il lavoro è una gran cosa. Dio ti faccia incominciar bene e poi ti faccia perseverare, ch'è il più difficile. Ecco."
Franco gli voleva baciar le mani, ma lo zio fu pronto a ritirarle. "Lassa stà, lassa stà!". E riprese a parlare.
Adesso senti. È possibile che non ci vediamo più.
Proteste di Franco. "Sì sì sì", rispose il vecchio ritirando l'anima dagli occhi e dalla voce, "tutte belle cose, cose che bisogna dire. Lascia stare.
| |
Franco Franco Franco
|