Ebbene, verrō io questa primavera con duecentomila miei amici.
Eh sė! Düsent mila zücch! Belle idee, belle speranze! Oh, č qui, signorina Ombretta Pipė?
Ombretta Pipė, cosė Maria era chiamata in casa nei momenti di buon umore, entrō impettita e grave. "Buon giorno, zio. Mi dici l'Ombretta Pipė?"
Suo padre la prese e la posō sul letto dello zio che la raccolse a sé sorridendo, se la fece sedere sulle gambe.
Venga qua, signorina. Ha dormito bene? E la bambola, ha dormito bene? E il mulo, ha dormito bene? Ah non c'era? Tanto meglio. Sė, sė, adesso vengo con l'Ombretta. E un bacio, niente? E un altro, no? Allora bisogna proprio dire:
Ombretta sdegnosaDel Missipipė,
Non far la ritrosaE baciami qui."
Maria lo ascoltō come se udisse i versi per la prima volta; e poi, fuori a ridere, a saltare, a battere le mani. E lo zio rideva come lei.
Papā
, diss'ella facendosi seria, "perché piangi? Sei in castigo?"
Si aspettavano alquante visite, in quel giorno, di conoscenti che avevan promesso di venire a congedarsi da Franco prima della sua partenza per Milano. Luisa fece il miracolo di accender la stufa in Siberia, come lo zio chiamava la sala, e vi si trovarono insieme donna Ester, i due indivisibili Paoli di Loggio, il Paolin e il Paolon, il professor Gilardoni che vi sofferse di una trepidazione, di una inquietudine continua perché Luisa, non avendo ancora allestito il bagaglio di Franco, andava e veniva dalla camera dell'alcova, chiamava Ester ogni momento ed Ester era quindi sempre in moto, quando passava dietro al professore, quando gli passava davanti, quando a destra, quando a sinistra.
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