, ne vedeva capitare una processione. L'Udinese aveva bene un'amante, una piccola
tota" del primo baraccone di piazza Castello sull'angolo di Po; ma era geloso e non permetteva che attaccasse bottoni a nessuno. Gli amici se ne vendicavano chiamandola "tota bürattina" perché vendeva fantocci e bambole. Egli era del resto, grazie a "tota burattina", il solo della compagnia che avesse gli abiti sempre in ordine e la cravatta annodata con una grazia speciale. A mangiare andavano in una trattoria di Vanchiglia battezzata "la trattoria del mal de stomi" dove per trenta lire il mese avevano colazione e pranzo. Il loro lusso era il bicierìn, un miscuglio di caffè, latte e cioccolatte che si aveva per quindici centesimi. Lo prendevano la mattina, i veneti al caffè Alfieri, gli altri al caffè Florio. Meno Franco, però. Franco rinunciava al bicierìn e al relativo torcètt, pasta da un soldo, per ammassare tanto che gli bastasse a far una corsa a Lugano e portar un regaluccio a Maria. Andavano a passeggiare, l'inverno, sotto i portici di Po, quelli della Sapienza, dalla parte dell'Università, non quelli della Follia, dalla parte di S. Francesco; e poi sedevano al caffè dove uno della compagnia, per turno, prendeva il caffè mentre gli altri leggevano i giornali e saccheggiavano lo zucchero. Una volta alla settimana, invece che andare al caffè, si cacciavano, per accontentare il Fante di bastoni, in un buco di via Bertola dove si beveva il più puro e squisito Giambava.
A teatro ci andava l'Udinese e in grazia sua, di tanto in tanto, qualche altro, gratis; sempre alla commedia, per lo più al Rossini o al Gerbino.
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