Soggiunse che della vita passata aveva domandato perdono a Dio e che credeva doverlo domandare anche a lei. Insomma il Padovano, cui si era legato di grande amicizia, udito recitarsi da lui, come a riprova di precedenti confessioni, questo brano di lettera, gli disse: "Ciò, la par l'orazion de Manasse re di Giuda".
Luisa scriveva molto affettuosamente, sì, ma con minore effusione. Il silenzio di Franco circa l'argomento del colloquio doloroso le spiaceva; e cominciar lei, di fronte a un silenzio così ostinato, non le parve utile.
I propositi di lavoro e di sacrificio la commossero profondamente; quando lesse quella confessione da gran delinquente con la domanda di perdono a Dio e a lei, ne sorrise e baciò la lettera sentendo ch'era un atto di sottomissione e un'acquiescenza umile alle censure che tanto lo avevano a prima giunta irritato. Povero Franco, ecco gli slanci della sua nobile, generosa natura! Ma durerebbero? Rispose subito e se dalla risposta traspariva la sua commozione, ne traspariva pure il sorriso, del quale Franco non fu contento. Nella chiusa v'eran questi periodi: "Leggendo tutte le accuse che ti fai ho pensato con rimorso a quelle che t'ho fatto io, una triste notte, e ho sentito che ci pensavi anche tu quando scrivevi, benché né questa lettera né alcuna delle altre tue ne abbia parola. Di quelle accuse ho rimorso, Franco mio; ma delle altre cose a cui tanto penso nella mia solitudine, oh come vorrei che parlassimo ancora, da buoni amici!".
Il desiderio di Luisa restò vano.
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