Luisa trasalì.
La Pasotti fraintese l'espressione dei suoi occhi, credette leggervi un rimprovero e si mise a piangere con le mani sul viso, a dirsi nelle mani, scotendo quei due poveri riccioloni neri, che ci aveva una rabbia, una rabbia! Avrebbe vissuto un anno a pane ed acqua piuttosto che invitar a pranzo la marchesa! Questa del pranzo era certo una gran croce per lei, in causa di tanti pensieri, della fatica di preparar tante cose e delle tremende strapazzate di Pasotti; ma la croce suprema era di far dispiacere a Luisa! Almeno fosse una croce buona da offrire al Signore! Ma no, ci aveva troppa rabbia. Era venuta apposta per dire alla sua cara Luisa quanto soffriva per questo pranzo.
Perdònem, Lüisa
, diss'ella con la sua voce velata che pareva venire da una vecchia spinetta chiusa. "Ghe n'impodi propri no, propri no, propri no!"
Eran sedute accanto sopra un canapè. La Pasotti si levò di tasca un fazzolettone, se ne coperse gli occhi con una mano e con l'altra cercò, senza volgere il capo, quella di Luisa. Ma Luisa si alzò, andò alla scrivania e scrisse sopra un pezzo di carta: "A che ora viene la marchesa? Che via tiene?". La Pasotti rispose che il pranzo era alle tre e mezzo, che la marchesa doveva scendere verso le tre allo sbarco della Calcinera, che Pasotti vi si sarebbe trovato a riceverla con quattro uomini e la famosa portantina che aveva servito nel secolo scorso per un arcivescovo di Milano.
Luisa ascoltò attentissimamente ogni cosa, in silenzio. Prima di andarsene, la Pasotti le disse che sarebbe stata felice di baciare quel caro amore della Maria ma che temeva non sapesse poi tacere.
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