Tutti singhiozzavano, meno lo zio Piero. Seduto sul canapè dove prima stavano il Gilardoni ed Ester, pareva impietrato. Non aveva una lagrima, non aveva una parola. Le chiacchiere del Toni Gall gli davano evidentemente noia, ma taceva. La sua nobile fisionomia era piuttosto solenne e grave che turbata. Pareva ch'egli vedesse davanti a sé l'ombra del Fato antico. Neppure domandava notizie; si capiva che non aveva speranza. E si capiva che il suo dolore era ben diverso da quelle chiassose nervosità passeggere che gli si agitavano intorno. Era il dolore muto, composto, dell'uomo savio e forte.
Dall'uscio aperto dell'alcova venivan voci ora d'interrogazione ora di comando. Nessuno poté però dire, per un'ora e mezzo, di aver udita la voce di Luisa. Qualche volta venivan pure voci trepide, quasi liete. Pareva a qualcuno, là dentro, notare un moto, un alito, un tepor di vita. Allora tutti quelli che eran fuori accorrevano. Lo zio Piero volgeva il capo verso l'uscio dell'alcova e solo in quei momenti si disordinava un poco nel viso. Pur troppo vide ogni volta la gente ritornarsene lentamente, in un silenzio accorato. Passarono le cinque. Il tempo durando piovoso, la luce mancava.
Alle cinque e mezzo si udì finalmente la voce di Luisa. Fu uno strido acuto, inenarrabile, che agghiacciò il sangue nelle vene di tutti. Rispose la voce del dottore con un accento di premurosa protesta. Si seppe che il dottore aveva fatto un gesto come per dire: "oramai è inutile: desistiamo", e che al grido di lei aveva ripreso il lavoro.
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