Egli guardò trionfante il suo avversario e lo guardò pure il Paolon compiacendosi, per una solidarietà di Paoli, che avesse ragione il Paolin. Pasotti, che si era tenuto sicuro di giuocare, cominciò a dar segni d'inquietudine. Alle nove e sette minuti, la marchesa pregò il prefetto di suonare il campanello. Quegli restituì al Paolin l'occhiata trionfante e vi aggiunse tutto il muto disprezzo per la vecchia, che poté.
Apparecchiate
, diss'ella al cameriere.
Questi entrò poco dopo con le due candele. Anche in fondo agli occhi suoi crucciosi si vedeva il fantasma della bambina morta. Mentr'egli disponeva sul tavolino le candele, le carte da giuoco e i gettoni d'avorio, si fece nella sala quel silenzio di aspettazione che soleva precedere l'alzarsi della marchesa. Ma la marchesa non diede segno di volersi alzare. Si voltò a Pasotti e gli disse:
Controllore, se desideran giuocare Loro...
Marchesa
, rispose Pasotti, pronto, "la presenza di mia moglie non deve impedirle di fare la Sua partita. Barbara giuoca male ma si diverte moltissimo a guardare."
Stasera non giuoco
, rispose la marchesa. La voce era molle ma il no era duro.
Il buon Paolon, che taceva sempre e non sapeva giuocare a tarocchi, credette aver finalmente trovato una parola ossequiosa e savia da metter fuori.
Già!
, diss'egli.
Pasotti lo guardò in cagnesco, pensò: "cosa c'entra lui?", ma non osò parlare. La marchesa non parve accorgersi della scoperta del Paolon e soggiunse:
Posson giuocare Loro
.
Mai più!
, esclamò il prefetto. "Neanche per sogno!
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