Lei, il Paolin, il signor Giacomo e io."
I quattro che sedettero al tavolino da giuoco si lasciarono subito dolcemente andare, nel loro angolo, alle comode mollezze della conversazione sbottonata, alle vecchie barzellette ambrosiane attaccate ai tarocchi come l'unto. "Hin nanca arrivaa a Barlassina!", esclamò Pasotti dopo la prima giuocata, ridendo forte per far suonare la sua vittoria e la sua allegria.
Quelli là si erano liberati dai fantasmi; gli altri no.
La sorda, impettita e immobile sul canapè, aveva sofferto angosce mortali aspettando un gesto del marito che le imponesse di giuocare. Oh Signore, dovrebbe toccarle anche questa condanna? Per grazia del cielo il gesto non venne fatto e la sua prima impressione nel veder i quattro prender posto al tavolino fu di sollievo. Ma poi le riprese subito un disgusto amaro. Che insulto, quel giuoco, alla sua Luisa, che disprezzo per la povera cara Ombrettina morta! Nessuno le parlava, nessuno faceva attenzione a lei: ella si mise a recitare mentalmente una fila di Pater, Ave e Gloria, per la cattiva creatura seduta all'altro angolo del canapè, tanto vecchia, tanto vicina a comparire davanti a Dio. Le dedicò la preghiera per la conversione dei peccatori che soleva dire mattina e sera per suo marito da quando aveva scoperto certe sue familiarità con una bassa persona di casa.
Il prefetto, a udir gli schiamazzi di Pasotti, si alzò e prese congedo. "Aspetti", gli disse la marchesa, "di prender un bicchier di vino." Alle nove e mezzo soleva capitare una bottiglia preziosa di San Colombano vecchio.
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