Franco, udita la proposta di partire senza Ismaele, si alzò e disse che andava a congedarsi da sua moglie. Nello stesso momento l'avvocato udì un passo nella strada. "Silenzio!", diss'egli. "È qui." Franco uscì sulla terrazza. Qualcuno veniva infatti dalla parte di Albogasio. Franco attese che arrivasse sul sagrato e chiamò a mezza voce:
Ismaele!
Sono io
, rispose una voce che non era quella di Ismaele. "Sono il prefetto. Vengo su."
Il prefetto? A quell'ora? Che poteva essere accaduto? Franco andò in cucina ad accendere un lume e discese le scale in fretta.
Passarono cinque minuti e gli amici non lo videro ricomparire. Capitò invece la moglie d'Ismaele a dire che suo marito si sentiva male e non poteva muoversi. Parlò dal sagrato a Pedraglio che stava sulla terrazza. Quegli corse a chiamar Franco. Lo trovò sulle scale che saliva col prefetto. "La guida è ammalata", diss'egli, conoscendo il prete per un galantuomo. "Andiamo e non perdiamo tempo." Franco gli rispose che subito non poteva venire e che lo precedessero. Come, non poteva venire? No, non poteva. Fece passare il prefetto in sala, chiamò l'avvocato, insistette con lui e con Pedraglio perché partissero subito. Era successa una cosa straordinaria, doveva parlarne a sua moglie, non poteva dire che risoluzione prenderebbe. Gli amici protestarono che mai non l'avrebbero abbandonato. L'allegro Pedraglio, uso a spendere oltre i desideri di suo padre, osservò che alla peggio a Josephstadt o a Kufstein si viveva più a buon mercato e più virtuosamente che a Torino e che ciò avrebbe consolato il suo "regiôr". "No no!
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