Primo vi arriva di volo il venerabile cappellone del sior Zacomo scaraventato abbasso da Pedraglio con un "viva l'Italia!" mentre scivola a braccetto della guardia. A Bré Pedraglio fece correre tutto il paese sparando a festa la carabina, distribuì anesone triduo agli uomini e mezz'once alle ragazze, domandò al curato di poter appendere in chiesa il "marsinon" per grazia ricevuta, si attavolò a mangiare con la guardia, gli fece predicar dal prete il perdono dei pugni nello stomaco e gli diede lettura di una stanza del poema fratesco che finiva così:
A questo punto il Padre Lanternone
Disse: ho mutato ancor io opinione.
Gli dimostrò che se aveva mutato un Padre Lanternone poteva mutar anche lui e lo persuase a disertare, gli fece buttar via l'uniforme e indossare il "marsinon" fra le risate e gli applausi. Il solo che non rideva era l'avvocato. "E quel povero Maironi?", diss'egli.
Franco non attraversò Castello. Giunto alla cappelletta di Rovajà, saltò giù per il sentiero che mena alla fontana di Caslano, raggiunse la stradicciuola di Casarico, si mise a salir per quella e all'ultima svolta che fa sotto Castello, dove appare la chiesa di Puria sotto un anfiteatro di dirupi, si gittò a destra nella valle per un sentiero da capre, ne risalì sotto la chiesa di Loggio e giunse a Villa Maironi senz'aver incontrato nessuno.
Carlo, il vecchio servitore che gli aperse, tramortì, quasi, dalla commozione e gli baciò le mani. In quel momento c'era il medico. Franco decise di attender che uscisse e intanto confidò al vecchio fedele che aveva i gendarmi alle calcagna.
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