Ma non gli vuol bene?
Alle volte mi pare tanto e alle volte niente.
Dio mio!
, fece il professore. "Ma adesso? Non La commuove l'idea che potrebbe non vederlo mai più?"
Luisa tacque; parve che piangesse. Balzò improvvisamente in piedi stringendosi le tempie fra le mani, piantò in viso al professore due occhi dove non erano lagrime ma invece una luce sinistra di corruccio. "Ella non sa", esclamò, "cosa c'è nella mia testa, che cumulo di contraddizioni, quante idee opposte che si combattono e prendono continuamente il luogo l'una dell'altra! Quando ho ricevuto la lettera ho pianto tanto, mi son detta: "sì, povero Franco, stavolta vado", e poi ecco una voce che mi dice qui nella fronte: "no, non devi andare perché... perché... perché..."."
Luisa s'interruppe e il professore, spaventato da bagliori di pazzia negli occhi che lo fissavano, non osò chiedere spiegazioni. Gli occhi strani sempre fissi ne' suoi vennero raddolcendosi, velandosi. Luisa gli prese le mani, gli disse piano, timidamente: "Domandiamo a Maria".
Sedettero al tavolino, vi posarono le mani su. Il professore voltava le spalle al lume che batteva sul viso di Luisa. Il tavolino era nell'ombra. Dopo undici minuti di silenzio profondo il professore mormorò: "Si muove".
Infatti il tavolino si andava lentamente inclinando da un lato. Ricadde e batté un piccolo colpo. Il viso di Luisa s'illuminò.
Chi sei?
, disse il professore. "Rispondi col solito alfabeto."
Il tavolino batté diciassette colpi, poi quattordici, poi diciotto, poi uno.
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Franco Maria Luisa Luisa
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