Infatti Luisa lo udì dormire rumorosamente. Posò il lume e attese Franco.
Egli venne subito e fu sorpreso di udire che lo zio dormiva già. Avrebbe voluto pigliar congedo da lui prima d'andar a letto, perché il battello partiva di gran mattino, alle cinque e mezzo. L'uscio della camera era chiuso, tuttavia Luisa pregò suo marito di camminare in punta di piedi e di parlar sottovoce. Gli raccontò ciò che le aveva detto la Cia. Lo zio aveva bisogno di riposo. Ella sperava che sarebbe rimasto a letto fino alle nove o alle dieci e contava partire al tocco, andar a dormire a Magadino per non affaticarlo troppo. Insistette molto su queste apprensioni per la salute dello zio; parlava, parlava, nervosamente, volendo tener lontani altri discorsi, tener lontane con quest'ombra carezze troppo tenere. In pari tempo andava e veniva per la camera, pigliando e posando le stesse cose, un po' per nervosità, un po' con la intenzione che suo marito si coricasse prima di lei. Egli pareva dal canto suo molto occupato di una borsa a tracolla che non riusciva ad aprire. Finalmente l'aperse, chiamò sua moglie a sé, le diede un rotolo d'oro, cinquanta pezzi da venti lire. "Capisci" ,le disse, "che almeno per qualche mese non potrò mandar nulla. Questi non sono miei, li ho avuti a prestito." Poi trasse di tasca una lettera suggellata. "E questo è il mio testamento", soggiunse. "Ho poco ma devo pur disporre anche di quel poco. Vi è un legato solo, la spilla di mio padre che hai tu, per lo zio Piero; e vi è il nome della persona cui devo le mille lire.
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