Lo zio si alzò alle nove e mezzo. Stava bene. Il tempo era umido ancora, quasi piovigginoso, ma egli non volle saperne di restar in casa, come Luisa avrebbe desiderato, sino all'ora di partire per Magadino. Sapeva, per averne chiesto all'albergatore, che dalle nove in poi si poteva visitare il giardino, e alle dieci, preso il suo latte, vi si avviò con Luisa. Passando da San Vittore desiderò entrarvi, veder le pitture. Vi si stava dicendo messa, il celebrante si voltava a dire: "Benedicat vos omnipotens Deus". Lo zio si fece un gran crocione, ascoltò l'ultimo vangelo, rinunciò a veder le pitture perché c'era poca luce e uscì di chiesa dicendo con la sua giovialità solita: "Eccomi felice e contento d'essere andato a farmi benedire".
Non era possibile aver fretta, con lui. Si fermava ad ogni passo, guardando tutto che avesse forma d'arte, tutto che fosse disposto per venir guardato. Contemplò la facciata della chiesa, la triplice gradinata della sbarco Borromeo, ciascuno dei tre lati del cortile e la gran palma nel mezzo, che Luisa, con grave scandalo di lui, non aveva neppur veduta passando di là insieme a Franco, la sera prima. Quando il custode li introdusse nel Palazzo ci vollero almeno dieci minuti per salire, ammirando, lo scalone. Come ne fu a capo uscì un raggio di sole e il custode propose di approfittarne per vedere il giardino. Prese a sinistra e per una fila di sale vuote accompagnò i visitatori al cancello di ferro, suonò il campanello. Venne un giardiniere, un giovinetto educato che piacque molto allo zio perché gli spiegava tutto con buon garbo, e lo zio non domandava poco.
| |
Luisa Magadino Luisa San Vittore Deus Borromeo Luisa Franco Palazzo
|