Il laboratorio non mancava nč di sali nč di acidi. Vi si faceva della maldicenza misurata e garbata su tutti i peccati del prossimo salvochč su quelli di amore.
I peccati di amore non si potevano assolutamente introdurre nella conversazione. Se i due o tre pių liberi parlatori della brigata si arrischiavano a infrangere il divieto, subito il marchese Zaneto alzava la voce: "Ta ta ta!" e accadeva ben di rado ch'egli fosse costretto dalla protervia di un ribelle a continuare di galoppo e pių forte: "Taratatā, taratatā, taratatā!". Il buon uomo, che avrebbe avuto una spiccata inclinazione a mettersi con i farisei e a lapidar l'adultera, non usava altrettanto rigore che per le espressioni poco esatte in materia di fede. Quando non si trattava di malcostume nč di dogmi lasciava correre. Guardingo egli stesso in ogni sua parola, pareva quasi compiacersi che gli altri non lo fossero altrettanto. Una certa dose di sale comune l'avevan tutti. C'era poi un burbero giudice in pensione che aveva sempre in pronto il sale amaro e c'era un vecchio lungo, magro, giallo, arcigno, che veniva assiduamente con una moglie lunga, magra, gialla, malinconica e che non parlava se non per schizzare qualche goccia di acido.
Quella sera i chimici di casa Scremin avevano nel crogiuolo il fiore del mondo elegante, l'Olimpo della piccola cittā. Trattar quest'Olimpo con acidi e sali era il loro pių squisito piacere. Da buoni botoli borghesi non si pigliavano alcuna soggezione della grossa bestia rampante sullo stemma di casa.
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