Ci aveva in corpo quel baco del Senato, sì; un baco guastamestieri! Don Serafino stava considerando minutamente, a bassa voce, il disgraziato baco e i suoi malefizi, quando, allo svoltar d'un canto, il suo compagno lo interruppe con un colpo di gomito. Quegli aveva sfiorato, svoltando, un signore astratto che svoltava nel senso opposto, e camminava adagio, con le mani nelle tasche del soprabito.
Gala visto el consiglier!
diss'egli, fatti pochi passi.
Mi no. Che consiglier?
Eh, cosso! Maironi!
Maironi! A quest'ora! Da queste parti! Dove sarà andato? In conversazione non si vede più. Tanti lo trovano più distratto, quel giovine, più cupo. Ogni mattina a messa, ogni sera alle funzioni, ogni otto giorni ai Sacramenti. E` sempre stato pio ma non a questo punto. E carità, carità senza fine. "Perchè mi so!" La sua disgrazia, sì! Ma insomma non è cosa nuova, son quattro anni, adesso.
No, non poteva esser questo. Un buon giovine, ma un po' strano anche lui, sapete. Il sangue non è acqua, dicono che sua madre sia stata una testa calda, e suo padre: hèhèoli! Buono, però! Ecco, un santo davvero. Una fede, una carità! E devoto alla causa! Clericale proprio di quei convinti, capite; perchè, inter nos, anche fra i nostri della zizzania ce n'è! C'è chi tira alla scarsella e c'è chi tira a far chiasso, a farsi un nome, un'influenza. Pochi, ma ce n'è! Quello lì no; eh, quello lì! E talento. Talento grande. - Qui don Serafino si fermò sui due piedi, cavò la tabacchiera e, ficcate le dita nel tabacco, soggiunse con importanza: "Adesso lo femo sindaco, capìo".
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