Poi, a un tratto, come se avesse paura del proprio viso, del proprio sguardo, dei propri pensieri, soffiò furiosamente sulla lucerna, entrò al buio nella sua camera da letto, si gittò ginocchioni sull'obliqua lama di luce biancastra che per una grande finestra il cielo notturno gittava sul tappeto del pavimento, giunse le mani di slancio, guardando il chiaror fioco delle nuvole.
Passati alcuni secondi, gli occhi suoi poco a poco discesero fino al davanzale della finestra, fino all'ombra; si fermarono come smarriti in una visione. Egli pareva immaginare con la volontà sospesa, nè consentendo nè resistendo alle immaginazioni, cose che gli togliessero il respiro. Si scosse, si gettò bocconi a terra figgendo il viso sul pavimento. Poi balzò in piedi, accese una candela e, snudatosi il braccio destro, lo tenne a più riprese, stringendo il pugno, sulla fiamma. Si guardò le grandi macchie rosse delle scottature, mise un sospiro di sollievo, trasse il portafogli, lo aperse, contemplò una piccola fotografia ovale, il viso di una giovinetta sui diciott'anni, regolare, freddo nella espressione e tuttavia non senza una tal quale malinconica dolcezza nell'occhio e una più spiccata fermezza nel mento. L'acconciatura altissima, passata di moda da cinque o sei anni, lo guastava come un goffo accento circonflesso e faceva pensare a una persona morta. Il giovane se lo accostò alle labbra ma poi non ebbe cuore di baciarlo, parendogli esserne indegno, depose sospirando il portafogli sul tavolino da notte e soltanto allora vi scorse un mazzolino di violette sopra una lettera.
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