Piero capì subito che il pover uomo recitava male una lezioncina spuntata, meditata e composta dentro quel duro e freddo bernoccolo degli affari che fioriva sotto le trecce grigie della marchesa Nene, in amichevole compagnia con parecchi altri bernoccoli di opposta indole.
Ma tutto quel che volete!
diss'egli, sdegnoso.
Abbi pazienzafece il povero Zaneto. "Abbi pazienza. Le cose bisogna dirle, eh!"
Cavò l'orologio, trasalì, fece "ohe, ohe!" e scappò dicendo che aveva l'impegno di andare con la Nene in Duomo alla novena di san Giuseppe.
Uscito Zaneto, Piero pensò lungamente guardando nella sedia vuota la impronta sincera del suocero pesante, lo sgualcimento scandaloso e ignobile, senza velature diplomatiche, senz'alcuno di quegli accomodamenti studiati ch'erano familiari a Zaneto quando intendeva produrre impressione in altrui con una parte diversa di sè, con la parte superiore e più degna. Poi si vestì e scrisse la seguente lettera a monsignor De Antoni:
Monsignore, Voglia, La prego, informare monsignor Vescovo che se i miei colleghi penseranno proprio di chiamarmi a quell'ufficio malgrado le mie scarse attitudini e la mia totale inesperienza della cosa pubblica, lo accetterò. Gli dica pure che confido molto nelle sue preghiere. Mi raccomandi a Dio, monsignore, anche Lei.
Suo devotissimo
P. Maironi
Rilesse e si disse: "Fino a qual punto sono sincero? Fino a qual punto sono ipocrita?".
Entrò Federico recando una lettera.
Qualcuno' pensò Piero,
che suonerà il pelittone in mi.' Si disdisse subito.
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