Però nelle mie agitazioni indicibili di quel tempo, anche nei momenti in cui abborrivo dalla vita religiosa, l'idea di renderla impossibile col matrimonio m'ispirava un inesplicabile terrore; proprio terrore. Intanto mi tenevo attaccato a tutte le esteriorità religiose, alla Conferenza di S. Vincenzo de' Paoli, al Circolo della gioventù cattolica, per istinto, perchè lì almeno c'è qualche cosa di fermo. Gli anni passavano, avrei potuto cominciare a occuparmi de' miei affari ma non ci pensavo. Capivo che il mio tutore non lo desiderava e mi era facile di compiacerlo: non ho affetto alla proprietà. Dal partito ero accarezzato molto. Lei lo sa. Mi elessero vicepresidente del Circolo. Mi affidarono dei lavori, delle traduzioni dal tedesco e dal francese di scritti cattolici, mi parlavano sempre del mio ingegno, di uffici pubblici cui sarei stato chiamato, di una grande parte che mi era serbata nell'azione cattolica, mi chiusero nella loro cerchia, mi rappresentarono corrotti e pericolosi tutti i giovani non clericali, m'insinuarono spesso idee di matrimonio con allusioni alla cuginetta ch'era in collegio. Ciò che dovevo fare per il Circolo lo facevo senz'amore. Non ho fatto con amore che una traduzione di Ketteler. Capivo che per l'idea d'una legislazione sociale cristiana avrei potuto appassionarmi, ma sentivo in pari tempo che fra i miei compagni di partito e me vi erano delle dissonanze profonde, che un'azione comune con essi, proprio ex corde, non mi sarebbe stata possibile.
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