Li cacciavo allora, questi fastidi, come tentazioni contro la carità e l'umiltà. Ah, don Giuseppe, quanto sono cresciuti dopo un anno che sto in mezzo, come sindaco, alla parte attiva e politicante di un partito il quale diffida già di me perchè indovina qualche cosa del mio interno! Non Le dico tutte le meschinità, tutte le piccole ambizioni, tutti i piccoli rancori che fermentano intorno a me! Non immagini, sa, che io ammiri gli altri, quelli che mi trovo a fronte più spesso nel Consiglio comunale, gente pronta sempre a bravate contro persone che non schiaffeggiano nè si battono, gente prodiga di frasi sentimentali e avara di quattrini, gente che ha paura dell'acqua santa quando vive e del diavolo quando muore, sempre a cavallo su Roma e la monarchia liberale, di cui giurerei che almeno a tre su quattro di loro non importa niente! Non li ammiro, ma quelli non si fanno avanti nel nome di Dio! Di essi non mi curo. Ecco invece il mio pensiero terribile: come mai è quest'altra gente gretta, questa gente piccina, questa gente maligna, questa gente sciocca che possiede, proprio lei sola, la verità, il segreto di tutto l'Essere, il segreto dell'anima umana, il segreto della nostra sorte futura? Per un pezzo mi sono rifugiato nelle ragioni di credere che avevo nel mio proprio cervello, nel mio proprio cuore; adesso non mi sento più sicuro neppure lì. Mi risponda: posso io dire che la mia fede venga proprio, originariamente, dal raziocinio mio, dal sentimento mio? Posso io dire che non vi è stata seminata e coltivata dai miei educatori?
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Giuseppe Consiglio Roma Dio Essere
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