Poi, come cercando i pensieri dell'ospite in argomenti più vicini a lui, gli parlò di una visita che la marchesa Nene gli aveva fatta l'anno prima.
Desiderava una Messa per la Sua signora, qui nella cappella dove la Sua signora è stata da bambina e si è tanto divertita a tirare i mantici dell'organo. Mi chiese pure certi aranci dell'aranciera, molto acerbi, per verità, ma che insomma la Sua signora aveva gustati quella volta e che aveva ricordati poi spesso. E desiderò, poveretta, che io unissi agli aranci una parola mia.
Qui don Giuseppe ebbe un sorriso di commiserazione triste, come per dire: si figuri cosa può valere una parola mia!
Adesso gliela mando con gli arancidisse. "Mi ha veramente ispirato riverenza, povera marchesa. Lei sa che di solito esprime poco i proprî sentimenti, non dice mai cose accentuate. Bene, qui, proprio qui dove siamo adesso, ricordo queste sue parole dette senza lagrime, sa, senza troppa commozione: "Don Giuseppe, dica al Signore che non ne posso più'."
Era infatti, a pensare la maschera di calma che sempre la vecchia signora portava davanti ai suoi e al mondo, una parola tragica. Maironi, quantunque avesse più volte intravvedute le profondità segrete di quell'anima, ne fu colpito come da un rimprovero, sentì la inferiorità morale della propria natura obliosa, piena di concupiscenze. Gli balenò insieme il dubbio di una impotenza della volontà contro questa disposizione fatale, imperante, dell'essere suo, il cuore gli si sollevò in un amaro "perchè" e subito si raumiliò per la riverenza dell'alto spirito vicino.
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Nene Messa Giuseppe Giuseppe
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