Don Giuseppe
diss'egli quando il domestico lo ebbe avvertito che la carrozzella era pronta, "crede proprio che il Signore vorrà aiutarmi?"
Ma sì, purchè non ne dubiti.
Sul sedile della carrozzella era stato posato un panierino di aranci. Maironi si volse a don Giuseppe. "Son di quelli che Lei sa" disse don Giuseppe umilmente, come scusandosi. Il giovane gli strinse forte le mani e non potè proferir parola. Potè appena, quando la carrozzella partì, levarsi il cappello, rispondere così al saluto, pur silenzioso e commosso, del vecchio prete.
II
La carrozzella seguì l'unghia, in principio, di umili collinette, passò un villaggio, un fiume, altri villaggi, corse una tortuosa stradicciuola vagabonda nel piano sino agli avamposti degli Euganei, piegò per il viale maestoso di platani che ne rade a settentrione il fianco deserto.
Dove questo svolta a guardar il levante e si allontana verso mezzodì, si parte dalla via maestra e lo segue uno stradone che mette capo dopo cinque minuti alla fosca cintura del grande monastero abbandonato, alla torre merlata, al bel tempio possente del Quattrocento, assiso sur un enorme dado di pietre nere, onde irrompe qua e là, congiurata con le ribellioni del pensiero, la ribellione dell'erba viva. Maironi fece l'intero viaggio senza guardar mai nè a destra nè a sinistra, assorto nel suo dramma interno, nelle visioni di villa Diedo, nel fantasma della Valsolda. Anche lo molestavano di tempo in tempo i richiami di tanti affari pubblici gravi, urgenti, che aveva per le mani, benchè non volesse dar loro ascolto.
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