Aveva rassomigliato il monumento a un sogno e come quell'incognito Carucci dal quale gli pareva esser tanto disforme, vi andava specchiando i sogni suoi propri, le sue proprie fantasie estetiche. Ne assaporava certe squisitezze particolari d'arte che gli parlavano del suo favorito Quattrocento e intanto l'anima unica dell'abbazia venerabile, vivificante ogni pietra di pensiero santo, orante nella solitudine con la maestà di un grande che si sente dissolvere in Dio, non era interrogata da lui e non gli parlava.
Essa taceva pure interamente con la signora Dessalle. Jeanne Dessalle, intelligentissima d'arte, non aveva dato alle magnifiche architetture un solo sguardo attento e camminava a caso, legata i pensieri e i sensi alla presenza di Maironi. A Maironi la impertinente trovata della signora sulla vocazione era parsa forse un colpo di spillo a lui, certo una soffiatina di polvere negli occhi del fratello, soffiatina che supponeva la complicità sua. Gliene corse nel sangue prima una brivido di dolcezza, poi una reazione di malcontento. Quando i suoi compagni, che lo precedevano, oltrepassata una porta senza uscio, svoltarono dal corridoio nel cortile pensile, ed egli, rimasto un poco indietro, si trovò a fronte quel chiaror largo, quel quadrato severo di contrapposte arcate, il puteale nel mezzo, il tabernacoletto sull'angolo del refettorio, pieno di cielo sotto il pinnacolo, fra le quattro colonnine, lo Spirito del monastero lo fermò. Preso dal suo dramma, il giovane si era scordato di essere a Praglia.
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