Questo era l'Ineluttabile supremo e non la turbava, le rendeva più intenso il piacere dell'ora presente.
Ella non credeva di poter più dormire, quella notte: e le gradiva di godersi il tramonto della luna, la fragranza delle rose, pensando a lui. Come mai l'aveva lasciato partire senza domandargli quando sarebbe ritornato? Non poteva, non poteva stare in questa incertezza! Vide i suoi guanti, dimenticati sopra una sedia. Oh, se ora venisse a riprenderli! Si rizzò sulla persona, stette in ascolto. Che follia! Si propose di rimandar i guanti l'indomani mattina con una lettera. E li prese, contenta. Si struggeva di baciarli, sorrise di se stessa. Non li baciò, mise la mano in uno di essi, sorrise ancora, sorrise di sentirsi mortificata che fossero così grandi mentre avrebbe giurato che le mani di Piero fossero piccole. Uno stridere del cancello! Lui?
Non era Maironi, era Carlino arrivato in carrozza con quattro amici, l'elegante deputato Berardini, il grande violoncellista Lazzaro Chieco, l'allegro pittore veneziano Fusarin e un tal Fanelli, senese, critico d'arte e di letteratura, giovanissimo, libertino, sfacciato come un monello di Firenze. Eran partiti da Venezia col treno e l'avevan lasciato per fare una scarrozzata di trenta chilometri godendosi appieno la calda notte di maggio e l'eclissi. Seguiva il vetturale portando il violoncello di Chieco. Furono meravigliatissimi di trovare Jeanne, a quell'ora, sulla terrazza. Ella non conosceva che Fusarin, il suo adoratore pazzo di una volta.
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