Fusarin, più innamorato che logico, inghiottí rassegnatamente col thè la certezza che non vi ha certezza, e si accontentò di brontolare a Jeanne:
Se no La ghe xe Ela, no ghe son gnanca mi, ciò, intendemose!
Partirono all'alba, con grande sollievo di Jeanne che si pose a letto mortalmente stanca ma beata di pensare lui, lui solo, in pace.
Si domandò: sogna egli di me adesso? E rise di se stessa, del romanticismo convenzionale che si assorbe nei libri e ci passa nel sangue. No, egli sognava forse il Municipio o qualche altro sogno stupido. A lei sarebbe piaciuto di sognare l'ignoto lago di Valsolda nel chiaro di luna, una gita in barchetta con lui. Chiuse gli occhi, cercò disporsi al sonno e a questo sogno: vedersi nella mente il lago e le montagne di cui non aveva un'idea. Non seppe immaginare che la barchetta, le carezze, la voce amorosa di lui; ma così non le riesciva di dormire. Allora si mise a pensare alla fama che qualche vendicativo, forse uno dei tanti libertini respinti, forse suo marito stesso, doveva averle fatta perchè gli uomini che non la conoscevano fossero tanto audaci con lei. E pensò pure al discorso di Berardini, al marchese Zaneto, all'uomo politico influente che le sarebbe piaciuto di conoscere per farlo amico di Maironi, perchè gli combattesse le tendenze socialiste che a lei dispiacevano, che le parevano pericolose, non convenienti alla sua natura delicata e mistica, frutto di fantasia. Non un brivido, non una lieve inquietudine le diedero segno che in quell'ora stessa il suo amante vegliava immobile e cupo, fissando uno spettro.
| |
Jeanne Ela Jeanne Municipio Valsolda Berardini Zaneto Maironi
|