Quando il celebrante incominciò la lettura del Vangelo, Piero, avvinto al suono e non al senso delle parole, sentì un mutamento del suono.
Nel dir le parole di Gesù, il celebrante si congiungeva in ispirito a Gesù con amore e tremore. Il sentimento del suo alto ministero, il sentimento della sua indegnità, il soverchiar del divino, nel suo petto, sulle forze umane; tutto diceva quella voce, non colorita nell'esterno ma penetrata d'anima e quasi ansante. Piero non potè a meno di volgere il capo a guardar la solennità umile del noto viso antico, sentì che il suo malessere interno si trasformava in un cupo ribollimento, in una commozione violenta, n'ebbe terrore, s'irrigidì contro se stesso con tutto il nerbo della ridesta volontà, si rifece dentro il silenzio. E per non ricadere pensò a Jeanne, pensò che forse in quel momento ella usciva dal letto, riuscì ad accendersi la mente di un fuoco piuttosto lascivo che amoroso, quale non lo aveva bruciato ancora stando egli con Jeanne o pensando a lei; quale un esperto medico di anime avrebbe giudicato indizio di passione declinante. In quella cupida fiamma il tedio, il malessere e insieme anche le immagini suscitate dalla voce di don Giuseppe, tutti i germi vitali dell'anima, subito arsero.
Uscirono di chiesa in un gruppo, la Scremin tutta sorridente e pacifica, Maironi accigliato, la vivace signora Soldini pronta nel viso a parole che già le sfuggivano dagli occhi, il Commendatore modesto e mansueto. Quest'ultimo, riverite ossequiosamente le signore, disse a Maironi con un sorriso tra benevolo e scherzoso, con un'artificiosa peritanza nel metter fuori la facezia come se fosse arrischiata molto:
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