Gli avrebbe reso assai volentieri un servigio personale che sarebbe stato il primo; trattare con lui di cose pubbliche gli garbava meno, alieno com'era dall'affrontare certe rigidezze inflessibili anche fuori di quei convincimenti sostanziali nei quali era egli pure inflessibilmente rigido.
Vado poi anche a Roma oggidiss'egli rasserenandosi nella speranza che una lunga necessaria dilazione del colloquio lo facesse sfumare.
Allora il bibliotecario lo pregò di non partire senz'aver parlato con uno degli assistenti distributori; suonò il campanello per farlo venire e sussurrò, ridendo, fregandosi le mani: "Una balia!" mentre l'assistente s'inoltrava timidetto, rispettosetto.
Scusi, signor Commendatore, Lei è presidente della Giunta di vigilanza dell'Istituto tecnico.
Sì.
Ho udito dire che viene un professore nuovo.
Sì.
Ecco, perchè avrei una camera da affittare, se volesse dirgli una parolina!...
Il Commendatore se la cavò come potè e l'altro annunciò al bibliotecario che il marchese Scremin chiedeva di parlargli quando fosse libero.
Parlarmi! Non vorrà mica soldi, spero!
Il Commendatore trasalì. Quattrini? Perchè? Andavano male gli affari di casa Scremin? Male, male; proprio adesso che sua figlia guarisce. Guarisce? Ma! La notizia del giorno, nella sagrestia del Duomo, era questa. Guarisce, viene a casa fra pochi dì.
Il povero Commendatore che aveva, nella sua grande bontà, viscere particolarmente affettuose per tutti i nati dentro la cerchia delle mura cittadine e anche nei borghi e anche oltre il selciato, in quelle terre suburbane del Comune dove non era giunto l'affetto di antichi pubblici benefattori, se ne andò tutto rannuvolato per l'intravvista rovina di una illustre famiglia della sua patria e crucciato nella coscienza di rattristarsi troppo della rovina e di rallegrarsi troppo poco della guarigione annunciata.
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