Invano il buon Zaneto, non osando rispondere ch'egli era dispostissimo a rispettare del tutto i prefissi itinerari delle cose del mondo, si metteva a distinguere l'ambizione legittima, sentimento doveroso, dalle ambizioni riprovevoli; invano le parlava di servigi alla religione, possibili a rendere anche col semplice voto. Nel dir questo egli si credeva sincero e arrivò sino a dimostrarlo alla incredula sposa che batteva e ribatteva il chiodo dell'ambizione e della vanità. Le spiegò ch'egli era della stessa pasta di tutti gli altri uomini e non si credeva immune da certi stimoli non tanto nobili; ma che siccome sopra gli stimoli forse nascosti gli appariva nella coscienza una bellezza di buone ragioni, egli non aveva obbligo d'investigar se stesso più a fondo perchè anche a sè stesso l'uomo deve usare carità, anche in sè stesso deve astenersi dalle investigazioni che sarebbe odioso di praticare in altrui.
Sua moglie, intontita e sdegnosa, respinse da sè tutta questa psicologia e questa casistica, come incomprensibili logogrifi.
Ell'aveva dunque rinunciato a tentare direttamente la conversione di Zaneto e lo ripetè a don Giuseppe, il quale fece e rifece, sospirando, l'atto di alzar con le spalle e con il capo un gran peso.
Come faccio?
diss'egli. Senza tener conto de' suoi gesti nè della sua parola, la impavida vecchia signora, come se fosse bell'e inteso che don Giuseppe sarebbe l'ambasciatore, s'incamminò a metter fuori un'ambasciata nuova, che quegli era ben lontano dall'immaginare.
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