Annaspō un bel pezzo intorno ai suoi beni extradotali che aveva gelosamente e quasi avaramente amministrati a parte per amore della figliuola, perchč non andassero, come ella disse a don Giuseppe, "nel caldieron", nel caldaione Scremin tutto screpolato di debiti. Era una sostanza ragguardevole e finora la brava marchesa non aveva mai voluto aiutare a saldar il caldaione nč con un soldo nč con una firma.
Ma se occorre, don Giuseppe
diss'ella, "vada."
Ecco, l'intimo pensiero della marchesa Nene, il pensiero taciuto fino all'ultimo, cagione vera, unica, della sua visita, era finalmente giunto per le vie pių strane e distorte sul suo labbro, n'era uscito quasi a caso, quasi come un'idea che le fosse germinata allora allora nel cervello.
Ella lo aveva concepito da lungo tempo e condotto silenziosamente a maturitā nell'attesa di metterlo alla luce quando ne venisse il destro. Il pensiero era questo: offrire a Zaneto il versamento della propria sostanza nel famoso "caldieron" del quale un abile amministratore avrebbe poi tenuto il mestolo, a patto di vendere tutta la sostanza stabile Scremin, palazzo e fondi, e di trasferirsi a Brescia. Aveva in pari tempo intrapreso indagini occulte sul reale stato degli affari di suo marito, sul valore commerciale dei beni stabili di lui e dei propri. Udito che il Genio Civile stava cercando una residenza pių comoda, si era arrischiata a muovere una pedina in Prefettura per saggiare cautamente il terreno con la mira di offrire, quando ne fosse il caso, il palazzo Scremin.
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