Don Giuseppe, turbato del turbamento di lei, s'imbarazzò, non sapeva che dire. Ella era forte, tanto forte che molti la credevano poco sensibile, ma ora che aveva aperto il cuore a don Giuseppe come a nessuno mai, la sua forza, fatta in gran parte di silenzio, era venuta meno. Vide a due passi, fra i pioppi, alcuni sedili.
S'el permetediss'ella con voce soffocata "qua xe belo."
E sedette. Don Giuseppe le sedette accanto e il suo smarrimento, la sua inquietudine, il suo timore di peggio dovettero apparir tanto che la marchesa gli disse con uno sforzo: "Gnente, salo, don Giuseppe".
Poco a poco la innocente pace del verde e delle acque solitarie, i sussurri miti degli alberi chetarono l'afflitta come in una casa ov'entrò la sventura, inconscia festività di bambini talvolta cheta, poco a poco, un amaro pianto.
Eccodiss'ella, asciugandosi gli occhi con il fazzoletto. "Figurarme!"
Voleva dire che s'era commossa nell'immaginar l'Elisa in quel giardino. Don Giuseppe non capì e non cercò di capire. La pregò, un po' a caso, ad aver cura della propria salute. "Ghe n'ò tanta!" gli rispose: e soggiunse con insolita energia che non voleva morire, proprio no.
Oh povera grama creatura, sarebbe stata beata di riposare nella morte, poichè credeva in Dio! Ma se la sua cara uscisse? Chi la proteggerebbe, chi la difenderebbe contro colei? Che saprebbe fare Zaneto? Non c'era che la sua mamma per assisterla, e la sua mamma doveva, voleva vivere.
Più tardi il contadino di don Giuseppe interrogato dalla marchesa se avesse avvertito Giacomo, balbettò parole incomprensibili; e invitato dal suo padrone a spiegarsi meglio, invece di rispondere alla marchesa rispose a lui, sottovoce, con una faccia sbalordita: "Signor, el ga dito ch'el xe morto". Infatti il cocchiere impertinente, uditosi chiamare "Ohe, Giacomo!
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