Che ghe porta el cafè a quel zoto?' pensò Rosina, riparato il guasto di quell'altro libero bevitore. Il padrone suonò per ordinare che non si lasciasse più passar nessuno e Rosina ebbe soltanto il coraggio di origliar un poco all'uscio. Udì Bassanelli dir forte:
Commendatore mio, andemo zoti!" e il padrone ridere. Poi non le riuscì di afferrare altro e se ne andò brontolando contro il Governo, che nominava Prefetti di quel genere, senza un po' di sussiego, di dignità.
La faccia, il pelo e la gamba sinistra, la gamba di Palestro, del cavaliere Bassanelli avevano cambiato molto da quella sera del 1859 passata trincando nella gaia compagnia dei Sette Sapienti all'Isola Bella, dove uno dei Sette, Franco Maironi, era venuto ad abbracciar sua moglie prima di arruolarsi per la guerra. Nello spirito egli era ancora il bonario e rude originale dell'Isola Bella. La molta cultura, la qualità dell'ufficio, la dimestichezza con persone affabili e corrette gli avevano alquanto levigato il linguaggio senza cancellarne tutte le pittoresche audacie.
Scettico fino all'osso, saturo fino alle midolla di senso del reale e del pratico, mangiaradicali quanto pochi e mangiapreti nell'intimo del suo stomaco quanto nessuno, corteggiatore e disprezzatore delle donne, il padovano copriva i propri sentimenti sin là dove le convenienze dell'ufficio volevano e non più oltre. Aveva moltissimo rispetto e non altrettanta simpatia per il Commendatore, uomo troppo religioso per lui, troppo legato con ecclesiastici, troppo cauto nella parola, troppo schivo del giudicar franco, del chiamar le cose con il loro nome.
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