Lo incalzò di domande, d'istanze, volendo strappargli qualche espressione dell'ingiusto sentimento, che le permettesse di lottare apertamente con esso. Non le riuscì. Giunse a pregarlo, con parole di tenerezza e di riverenza per le memorie a lui sacre. Egli la ringraziò affettuosamente e troncò il discorso.
Sulle prime neppure voleva saperne di andare a Brescia. Meditava un viaggio in Francia e nel Belgio, a scopo di studiarvi certe società cooperative di produzione, le case fondate da Leclaire e da Godin, il Vooruit di Gand, non alieno dall'indossarvi per qualche tempo, se occorresse, le blusa dell'operaio. Non tenendosi ancora sufficientemente preparato a questo viaggio, finì con piegare e partì per Brescia. Aveva scritto, dopo la partenza, tre volte e l'ultima sua lettera era veramente in colpa degli occhi rossi di Jeanne.
Ella scese per questa gran vendemmia di fiori nel viale che corre diritto fra una lunga riga di thuye e le spalliere delle rose aggrappate a quel fianco della Foresteria, che guarda la valle del Silenzio. Il giardiniere Pomato, che con tutto il suo anarchismo coperto aveva una soggezione manifesta della padrona, così buona conoscitrice di fiori, così ragionevole e ferma negli ordini, così dignitosa e umana nei modi, così signorile nella figura e negli atti, quel giorno era nero addirittura e si nascondeva poco.
Si era portata con sè alla vendemmia la sua figliuola maggiore Partenope, maestra disoccupata da due anni. Poichè Jeanne, veduta una lagrima negli occhi di Partenope, le ne aveva domandato due volte, e sempre invano, la ragione, rispose lui per la figliuola.
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