Dane descrisse con arte delicata, squisitamente, il momento in cui la povera signora, rientrando in casa, potè osservare tracce di mutamenti fatti scomparire in fretta e senza parlarne, tracce della sala da musica che l'antica sua camera da letto era diventata, indizi e segni di altri mutamenti più offensivi ancora che cercavano celarsi a lei. Jeanne parve pigliare al racconto lo stesso interesse tranquillo che ci pigliavano gli altri. In fatto ascoltava con quel misto di raccapriccio e di piacere con cui ci s'immagina una cosa terribile che non succederà mai. Ma un'occhiata, una sola involontaria occhiata di Carlino le diede noia come un raggio elettrico saettatole nelle ombre del cuore. Tolse dal calice di cristallo davanti a lei una rosa e la porse a Dane.
Per l'artistadiss'ella sorridendo; e si alzò da tavola.
Uscirono a fumare sulla terrazza di levante. Nell'attraversare la sala d'Ifigenia, donna Bice disse a Destemps: "Guardate che questo signor Maironi e la padrona di casa... credo, sì. Ditelo anche a Laura", mentre alle loro spalle Bessanesi esclamava: "Ecco il mare, ecco il mare! Thalatta, thalatta!".
Non era il mare la sterminata pianura che appariva per l'uscio aperto della sala, laggiù nell'Oriente, fasciata in giro al curvo confine del cielo di freddi vapori; ma tutti lo sentivano il mare, in quel fosco, profondo Oriente, e Bessanesi chiedeva se qualche volta non se ne vedessero, splendendo il sole o la luna, scintille. Altri nominò Venezia. La Gonnellina sfavillò negli occhi di desiderio, osò sussurrare a suo padre che si sarebbe potuto tornare a Venezia, poi fare l'Adriatico fino a Ravenna, si udì rispondere secco:
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