La marchesa suona il campanello. Chi è venuto? Don Giuseppe Flores. Dov'è? Nello studio, col padrone. Passano cinque minuti. La marchesa esce dalla sua camera e "roa' ossia gira inquieta per la casa. Va finalmente a capitare scura e ansiosa in viso presso uno dei due usci dello studio del marchese. Cosa succede mai? Federico si trova per caso presso l'altro uscio. Ode don Giuseppe che parla; non si capisce niente. Torototèla "fifòta' ossia piagnucola. Federico, per caso, accosta l'occhio al buco della chiave e vede la padrona entrare tutta blanda e sorridente. Proprio in quel momento il padrone si alza spiritato, tira una scampanellata fissando qualche cosa in un angolo dello studio. Federico fa un giro, entra dall'altro uscio, dietro la padrona. "Comandi?" "Un sorze!" La padrona che solo teme Iddio e i topi, volta silenziosamente le spalle e via. "Un sorze, signor?" esclama Federico. "Ma sì, un sorze, un sorze!" Il marchese, tutto tremante, si fa una barricata della sedia. "La scusi, don Giuseppe! La scusi, don Giuseppe!" Don Giuseppe al vedere quella baraonda per un topo, resta di stucco. Federico non riesce a veder topi. Il marchese non si rassicura, vuole continuare le ricerche: "La scusi, don Giuseppe! La scusi, don Giuseppe! Mi rincresce!". E tanto dice e tanto ripete "mi rincresce, mi rincresce" che il povero don Giuseppe, mogio mogio, se ne va. Trova la marchesa nell'anticamera, discorrono.
A questa placida svolta del racconto si udirono gli eroi del maestro Bragozzo delirare di passione con lo strepito più indiavolato, e un signore grosso uscì sulla terrazza, si accostò al gruppo.
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