Nel dialetto del paese
sorze' si dice un uomo astuto e a questo fondamento filologico il cavalier faceto appoggiò la rispettabile ipotesi che gridando "un sorze!' il buon Zaneto avesse voluto designare non un topo ma se stesso.
Intanto Jeanne aveva presentato il marchese a donna Laura, li aveva avviati entrambi, senza parere, alla terrazza di ponente dove potevano discorrere in pace. All'orologio del Santuario suonavano le dieci e mezzo. Jeanne scivolò nella sala da pranzo, si affacciò a una finestra aperta sulla valle del Silenzio, guardando i colli foschi, le nere nuvole pesanti, immaginando la terrazza lontana, alta sopra le acque oscure, la passiflora morta, il suono delle grandi campane, il cuore a lei caro, pieno di memorie, di rimpianti, di terrori, di desideri indistinti che lo contendevano a lei. Si slanciò mentalmente colà dov'egli era e sentendo che non avrebbe osato serrarlo nelle sue braccia per timore di riuscirgli sgradita, tutta dentro si rammollì di pianto e lasciò la finestra.
Nel voltarsi vide Bassanelli fermo davanti a lei. "Sono indiscreto?" diss'egli. "Ho pensato che forse questa sera avrete tempo e orecchi anche per gli amici. Vorrei dirvi una parola."
Jeanne non si sdegnò dell'allusione all'assenza di Maironi, avvezza com'era da un pezzo alle punture gelose del povero Bassanelli, per il quale aveva molta stima e anche simpatia.
E la mia società?
diss'ella.
Ci pensa Bragozzo
rispose Bassanelli. "Sentite; ieri l'altro, a Venezia, ho veduto vostro marito."
Jeanne ebbe un sussulto di appassionato disprezzo.
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