La sola carissima signora Colomba Raselli era umilmente persuasa di non potersi consolare con tali speranze del perduto "fiocheto". Le fate congiuravano nel palazzo della janua clara e con incantesimi riportavano la Torre dal Reno a casa, conducevano la giovine sposa e lo sposo a dimorarvi presso, facevan prigione la Lorelei e graziosamente l'assumevano a loro compagna e sorella. Il racconto e lo spettacolo finivano con un frenetico ballo pubblico intorno alla Torre rimessa in posto.
Cancaneggiavano con la folla il sindaco, il signore altissimo, il signore erudito e anche i patrizi suicidi. Un inno alla gentile città ospitale, soggiorno eletto di Grazie e Genii, fu la chiusa gradita della conferenza. L'orchestrina intuonò un'aria popolare locale allargandone il tempo a segno di renderla solenne, non riconoscibile a prima vista; e sul quadrato uscì la immagine di Carlino stesso, inclinata verso il pubblico in atto di riverenza, con le braccia conserte e una piccola Torre stretta sul cuore. Tutte le lampade brillarono a un punto fra lo scrosciar degli applausi.
La sala era già sgombra per il ballo e poche persone vi passeggiavano, mentre gli altri invitati si pigiavano ancora, fumando sigarette, sorbendo gelati, nelle stanze che fronteggiano la valle del Silenzio, dipinte pure dal Tiepolo con l'estro più fantasioso e denominate da Carlino la Cina dei mostri, la Georgica, la Galante, l'Olimpo, la Darwiniana, l'Anacreontea. Il successo della fiaba era stato così grande che soltanto le signorine parevano impazienti di ballare.
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