Lü l'è on bel scior e on bon scior, ma i Soeu vecc i eren bej e bon al doppi'. Finalmente mi disse che aveva paura di venire sgridata dal Tognin se si fermava troppo e che doveva darmi la cosa, per la quale era venuta.
Qui cominciò a parlarmi di quel che accadde in casa mia negli ultimi giorni della malattia di mia madre e nei primi giorni dopo la sua morte, avvenuta il 26 gennaio 1862 per una polmonite presa al cimitero, di ritorno da una corsa al villaggio nativo, Castello, soffiando la breva. Secondo la Leu ci sarebbe stato allora qui un vero saccheggio. La casa era sempre piena di gente e chi pigliava una cosa e chi ne pigliava un'altra. Mio padre era morto due anni prima, io avevo poco più di due anni. Venne da Brescia un incaricato di mia nonna, chiuse la casa, nominò un custode, il padre di Tognin, e mi portò via.
La Leu pretende avere avuto in dono da questo incaricato i mobili della sua camera da letto e un vecchio tavolino ch'ella giura e spergiura esserle stato promesso dalla povera mamma. In questo tavolino trovò un grande portafogli ricamato dalla mamma per mio zio Ribera. Danaro non ce n'era, dice lei. Lo credette vuoto e lo tenne anche per memoria del signor ingegnere. L'inverno scorso capitò a Oria un notaio di Porlezza e la Leu, che ha una casetta, un po' di bosco e qualche piccolo risparmio, pensò di fare testamento, di lasciare a me, forse per uno scrupolo di coscienza, quei mobili e anche il portafogli, che mostrò al notaio. Il notaio vi frugò dentro, si accorse che vi erano delle carte, diede loro un'occhiata e le disse di restituirmele subito perchè, senza valore per lei, a me sarebbero state care.
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